IL PROGETTO DI CIRCONVALLAZIONE FERROVIARIA
A cura del Comitato No Tav di Trento
In questa corografia progettuale ad ogni puntino colorato corrisponde un’area di cantiere. Il colore fucsia indica i cantieri base, il blu i cantieri operativi, il verde i cantieri di armamento. I punti azzurri e marroni sono aree di deposito materiale
Dettaglio della cantierizzazione prevista ad Acquaviva, Mattarello.
La cantierizzazione a Nord. Sulla sinistra in giallo l’imbocco della galleria e gli edifici abattuti. In blu il cantiere operativo dello Scalo Filzi. In azzurro le zone di deposito nelle aree inquinate della SLOI e Carbochimica
Alcune considerazioni preliminari
Il Progetto di Fattibilità Tecnico Economica della circonvallazione ferroviaria di Trento è stato presentato ufficialmente il 12 ottobre e reso disponibile al pubblico il 28 ottobre.
In verità, dalla lettura della documentazione che lo compone risulta che la maggior parte di questa era pronta già nell’aprile di quest’anno e solo per una parte trascurabile è stata revisionata in agosto. Abbiamo quindi un ritardo voluto di almeno sei mesi da parte di Rete Ferroviaria Italiana nell’aver portato a conoscenza della popolazione trentina un progetto che grava pesantemente sul futuro del territorio.
Per ritardare la consapevolezza della collettività e ostacolare le attese opposizioni, i proponenti hanno insomma tenuto secretato il tutto fino al momento in cui sarebbe stato giuridicamente necessario pubblicare il progetto per iniziarne l’iter di approvazione (iter acceleratissimo, a causa del suo inserimento nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
Bisogna però ricordarsi che nel far questo si sono assicurati la collaborazione del Comune di Trento e della Provincia, i quali, oggi lo sappiamo, hanno sempre ricevuto copia del progetto in divenire in questi mesi ma hanno in proposito sottoscritto con RFI un patto di riservatezza. Le istituzioni territoriali hanno così sconfessato, nei fatti e aldilà di retoriche pseudo-partecipative, il loro ruolo di garanti degli interessi della popolazione locale e si sono appiattite integralmente sugli interessi dei promotori, aderendo al metodo unilaterale e impositivo che caratterizza storicamente la progettazione delle grandi opere inutili e distruttive in Italia.
È emblematica da questo punto di visto l’idea di “partecipazione” racchiusa nei documenti progettuali. L’unica indagine sulle convinzioni della popolazione in merito al progetto è stata demandata a una ricerca algoritimica per parole-chiave e hashtag su blog e social media! Viene riportato che sui dati raccolti il 53% sono favorevoli, dunque sarebbero emersi “giudizi medi prevalentemente positivi sul web”.
Il progetto è composto di quasi 300 elaborati progettuali e si cercherà di rendere in questo scritto una sintesi il più possibile chiara e completa degli aspetti più importanti che lo riguardano.
L’operazione non è semplice, a causa della mole della documentazione analizzata ma anche di un notevole pressapochismo che ne ha caratterizzato la stesura: sono molte le lacune, le contraddizioni che si riscontrano tra un documento e l’altro, ma anche i pacchiani errori (mancate traduzioni o reiterati risultati di “errore” nelle schede progettuali ecc.). C’è persino incertezza sulla lunghezza complessiva del tracciato che passa a seconda dei diversi elaborati progettuali dai 12,5 km, ai 13, ai 13,2 fino ai 14 km.
Una conferma in più del pericolosissimo metodo del “fretta e furia” con cui si sta portando avanti un’iniziativa che garantisce guadagni sicuri in poche tasche e danni altrettanto certi per la collettività e l’ambiente.
Un estratto dalla Relazione Tecnica, mostra la data di prima emissione del documento.
L’insostenibile sensatezza della circonvallazione
I progettisti usano due strategie argomentative per sostenere l’utilità e la sostenibilità ambientale del progetto, riassumibili in due espressioni dal sapore di neo-lingua: il global project e il meta-progetto.
Con global project si intende che la circonvallazione va collocata nel più ampio progetto del “quadruplicamento della linea ferroviaria Verona-Brennero”, ossia delle tratte ferroviarie TAV/TAC di accesso al Tunnel in costruzione al Brennero. In sostanza si sostiene che, per valutare il senso anche ecologico della circonvallazione di Trento, bisogna considerare in prospettiva il senso complessivo dell’opera di cui questa fa parte.
È un argomento teoricamente ragionevole, ma che in concreto fa acqua da tutte le parti.
Innanzitutto non vi è traccia nella documentazione progettuale, ma neppure nella propaganda ascoltata in questi mesi, di alcuna seria prospettiva di breve-medio termine di proseguire l’opera. La circonvallazione di Trento sarebbe al momento l’unico tratto progettato e in realizzazione (14 km su 190 circa complessivi). Come ammettono anche l’assessore Facchin e RFI le circonvallazioni delle altre città attraversate dal tracciato sono bloccate da problemi tecnici che appaiono insormontabili. In particolare a Rovereto il progetto di tracciato sotto il Monte Zugna è stato fermato per l’altissimo rischio di danno alle risorse idriche (peraltro non dissimile da quello che si presenta per il Monte Marzola a Trento).
Il “global project” è insomma una prospettiva quantomeno traballante e, come molti hanno osservato, la circonvallazione rischia di essere una cattedrale nel deserto, una delle tante opere italiane rimaste monche, realizzate solo per accaparrarsi i fondi pubblici.
Ma questo fantomatico global project non è giustificabile nemmeno secondo i dati forniti dagli stessi progettisti. Infatti, nelle carte progettuali viene chiaramente affermato che quando, nel 2032, il Tunnel di Base del Brennero sarebbe realizzato e funzionante il traffico atteso di treni merci sarà persino inferiore a quello attuale!
Con ciò viene destituito un elemento fondamentale alla base della retorica sulla funzione dell’opera: la necessità di trasferire dall’autostrada del Brennero alla ferrovia il traffico delle merci.
In verità, questa ragione era già infondata in considerazione di altri due motivi che qui possiamo solo menzionare ma che invitiamo ad approfondire perché sono cruciali[1]. Ci riferiamo alla sottoutilizzazione della capacità potenziale della linea ferroviaria attualmente esistente e al fenomeno del “traffico deviato” in A22 in ragione degli incentivi economici concessi dalle politiche di trasporto locali e nazionali. Non a caso la documentazione non contiene nemmeno un cenno a questi due temi centrali.
Nessun ragionamento viene poi fatto su quale modello di sviluppo sia desiderabile per il futuro, sulle questioni climatiche, sulla transizione ecologica e su come questi temi incidano sulle previsioni e costruzioni delle politiche trasportistiche.
Come dimostra il disastro di Vaia, il problema dei cambiamenti climatici morde sempre più vicino a noi. Serve un cambio di paradigma di cui non c’è traccia nel progetto di circonvallazione.
Bilancio energetico in rosso
Non esiste un bilancio energetico e di emissioni di CO2 con riguardo alla circonvallazione ferroviaria di Trento, ma neppure rispetto all’intero tracciato da Verona al Brennero.
Un bilancio di questo tipo sarebbe necessario per un’opera inserita nel PNRR in una logica di transizione ecologica e a maggior ragione a fronte dei tanto sbandierati impegni, sia a livello locale che europeo, a ridurre le emissioni clima-alteranti.
I progettisti della circonvallazione si spingono quindi ad affermare che quest’opera è ecologica senza offrire alcuna dimostrazione, ma anzi disponendo di numerose evidenze del contrario.
Uno studio del bilancio energetico dell’opera esiste solo per la parte di tracciato corrispondente al Tunnel di Base del Brennero e al lotto 1 Fortezza-Ponte Gardena, che equivale a solo un terzo del tracciato complessivo.
Questo studio non è imparziale perché è prodotto da BBT SE, la stessa società che si occupa della costruzione del Tunnel di Base del Brennero. Sconta quindi tutti i difetti di stima derivanti dalle contraddizioni illustrate nel paragrafo precedente. In particolare, questo studio nell’imputare alla costruzione dell’opera un certo risparmio energetico dovuto al trasferimento del traffico da gomma a rotaia, non considera minimamente il fenomeno del traffico deviato né che la linea attuale è capace di risolvere il problema.
In ogni caso, viene affermato che la produzione di CO2 necessaria a costruire l’opera è pari a 3 milioni e 167 mila tonnellate. Lo studio afferma che il lasso di tempo necessario ad ammortizzare questo dispendio è di 20 anni.
Considerando che è molto dubbio che l’intero tracciato venga realizzato, ma che sicuramente ciò non avverrà entro il 2030, la conseguenza è che verrà senz’altro sforato il termine del 2050 entro il quale l’Unione Europea ha posto l’obiettivo delle emissioni zero.
La conclusione è che la crisi climatica ha tutto il tempo di scatenare le sue micidiali conseguenze mentre noi saremo ancora a ragionare di completare un’opera che invece di alleviarne gli effetti continuerà a peggiorarli.
L’imbroglio del meta-progetto
C’è poi il tema del meta-progetto o progetto integrato. Con queste espressioni si fa riferimento ai progetti che nel discorso pubblico del sindaco di Trento sono stati collegati alla circonvallazione: principalmente l’interramento della ferrovia che attualmente transita al centro di Trento e la metropolitana di superficie denominata Nordus.
Anche nel progetto di fattibilità si continua a sostenere che questi progetti concorrono a rendere desiderabile per la città la circonvallazione ferroviaria.
In tempi non sospetti, quando nel suo programma elettorale del 2020 l’attuale sindaco parlava del sogno dell’interramento della ferrovia, omettendo scientemente di menzionare la circonvallazione ferroviaria, avevamo già indicato come l’interramento sarebbe diventato facilmente il “cavallo di Troia” per l’ingresso della circonvallazione nella pianificazione infrastrutturale di Trento. Infatti, a prevedere questa possibilità era un protocollo di intesa tra RFI, Comune e Provincia redatto nel 2018 e a cui era stato dato poco risalto a livello di discussione pubblica.
Aldilà delle pesanti criticità che lo stesso progetto di interramento presenterebbe per la città[2], va qui sottolineato un altro aspetto che viene confermato oggi dalle carte progettuali. Ovvero, non c’è al momento nessuna prospettiva concreta di realizzazione del progetto.
Al contrario, dalle carte progettuali risulta non prevista la realizzazione della stazione provvisoria allo Scalo Filzi che sarebbe stata propedeutica all’interramento della ferrovia e che i proponenti e il Comune avevano affermato invece negli scorsi mesi che sarebbe stata inclusa nel progetto.
Questa rinuncia al progetto è, sebbene l’assessore Facchin sostenga il contrario, definitiva e vincolante anche per il futuro: infatti, sarà, se non impossibile, altamente costoso e tecnicamente difficile pensare di realizzare la stazione se e quando la nuova linea entrerà in funzione. Per di più, la recentissima decisione di ristrutturare l’attuale stazione di Piazza Dante, le sue banchine e sottopassaggi pedonali, va nel senso di allontanare alle proverbiali “calende greche” la prospettiva dell’interramento.
Insomma neanche un euro è previsto all’interno del finanziamento della circonvallazione per le opere collegate del meta-progetto (tram compreso) e nemmeno il Comune o la Provincia metteranno quei soldi. Invece rimane del tutto gratis continuare a parlare di “progetto integrato”, “sogno” e “opportunità per la città”.
Un rendering presentato dal sindaco Ianeselli a Confindustria. Il “sogno” del sindaco contempla insieme alla realizzazione dell’interramento, nuove volumetrie edificabili e altro cemento. Al momento tuttavia è solo marketing privo di finanziamenti e riscontri con la realtà
Tempistiche e finanziamenti
Come sappiamo l’accelerazione sul progetto è stata causata dall’assegnazione, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di circa 930 milioni di euro.
Questo finanziamento è tuttavia condizionato all’obbligo di terminare l’opera entro il luglio del 2026, a pena di perderlo e di dover restituire i soldi all’Europa.
Solo uno sprovveduto potrebbe credere che le realizzazioni di cui si parla siano realmente completate entro quel termine. Questo apparirà più evidente nel prosieguo di questo documento, dopo aver esaminato le criticità di complessa risoluzione che l’opera comporta.
Va in ogni caso evidenziato che era lo stesso cronoprogramma reso noto dall’assessore alla transizione ecologica Ezio Facchin, già tecnico di RFI, a prevedere un termine di 10 anni di lavori, mentre ora si dice che basteranno 3 anni e 8 mesi. Inoltre, i ritardi per questo tipo di opere sono la norma, basti pensare che per il Tunnel di Base del Brennero i lavori si sarebbero dovuti concludere prima del 2020, mentre la consegna è stata attualmente rinviata al 2032.
È quindi dietro l’angolo la prospettiva dell’indebitamento pubblico e dell’obbligo di restituire il finanziamento all’Europa per lo sforamento dei tempi. Così come è altamente probabile che il budget destinato al finanziamento dell’opera sia fortemente sottostimato, come si è verificato per gli altri progetti di alta velocità/alta capacità ferroviaria in giro per l’Italia (costo finale a km delle gallerie fin ora realizzate per l’ AV/AC italiana è fra i 110 ed i 130 milioni di euro, mentre in questo caso viene preventivata una spesa sull’ordine di 80 milioni).
Le uniche accelerazioni mozzafiato di cui il progetto godrà realmente sono invece quelle relative alle procedure di discussione democratica e di approvazione del progetto. Una procedura “ad alta velocità”, apprestata per l’occasione dai “decreti semplificazione” che accompagnano il PNRR, che prevede appena 45 giorni di tempo per il dibattito pubblico con la popolazione locale, l’approvazione del progetto verso fine aprile 2022, quindi l’aggiudicazione degli appalti e l’inizio dei cantieri entro la fine del 2022.
Tracciato e novità tecniche di rilievo
Il tracciato è all’incirca quello che si conosceva già: una galleria a doppia canna di 10,5 km sotto la Marzola (sotto-attraversando le località sottostanti a San Rocco, Villazzano, Povo e Cognola) e circa altri 400 metri di linea all’aperto all’Acquaviva di Mattarello fino al ricongiungimento con la linea ferroviaria attuale.
Alcune novità riguardano invece l’uscita della galleria naturale a Trento Nord. Qui il progetto prevede una galleria artificiale di 200 metri che passa sotto le abitazioni e gli edifici da abbattere in via della Malvasia e via Brennero a una profondità di -10,5 metri circa. Quindi la linea, a quella stessa profondità, si aprirebbe in trincea nel tratto corrispondente all’ex Scalo Filzi (di fronte all’edificio della Pittarello) per una lunghezza di 500 metri e una larghezza di 32 metri.
Nel punto in cui il tracciato sottopassa il cavalcavia dei Caduti di Nassiria vi sarebbe quindi una galleria artificiale di 200 metri.
Alla fine di questa, iniziano le aree inquinate dell’ex-SLOI e Carbochimica, dove la linea passerebbe in trincea aperta passando da una profondità di -10,5 metri al livello del piano di campagna con una progressione di pendenza del 12‰, lungo una distanza di circa 850 metri. A questo punto il tracciato, complanare alla linea storica, si ricongiungerebbe con questa dopo 800 metri.
Dettaglio del planoprofilo del progetto nella zona di Trento Nord
Inoltre, va segnalato che lo scavo della galleria a doppia canna sotto la montagna avverrebbe sin da subito anche dal lato dello Scalo Filzi e non solo, come inizialmente prospettato, dalla sola parte di Mattarello.
Le novità più rilevanti riguardano il fatto che il passaggio nelle aree inquinate avviene a una profondità maggiore di quello che ci si poteva aspettare.
Questo presuppone che dovranno essere funzionanti contemporaneamente 4 frese (2 a Nord e 2 a Sud, una per ogni singola canna). È presumibile che proprio l’aumento dei costi legato all’acquisto di questi macchinari (10 milioni di euro l’uno) abbia fatto abbandonare la realizzazione della stazione provvisoria allo Scalo Filzi, che sarebbe necessaria per l’interramento in centro città della ferrovia storica.
Le frese di cui parliamo sono dei “mostri” della lunghezza di 150 metri circa e per introdursi nella montagna avranno bisogno di una struttura di inscatolamento, ossia una intelaiatura in cemento armato dove comincia la roccia da scavare, la quale dovrà essere inizialmente “aggredita” con i metodi tradizionali di scavo, anche con l’uso di esplosivi.
Cantierizzazione e espropri
La necessità per i progettisti di seguire impossibili tempistiche di realizzazione si riverbera anche sulla quantità di spazio cittadino che sarà necessario adoperare per i cantieri.
A una minore quantità di tempo disponibile corrisponde infatti la necessità di uno “spazio di manovra” maggiore per tutto l’apparato realizzativo dell’opera. Ciò è dimostrato dal fatto che lo scavo della galleria dovrà avvenire da subito anche da Nord così aumentando le aree di cantiere anche su quella parte di città.
Come si vede dalle cartografie poste in apertura di questo documento, le aree di cantiere e di deposito di materiale sono numerose e diversificate, coprendo l’intero raggio che va da Roncafort a Besenello.
Le aree si suddividono: in cantieri base, dedicati principalmente alla logistica e all’alloggio degli operai: cantieri operativi dove avviene il cuore delle lavorazioni; cantieri di armamento, dove vengono realizzate le attrezzature per armare la linea (ad es. binari e traversine). Ci sono poi le aree di deposito materiale, dove verranno posti i più di due milioni di metri cubi di materiale di risulta dagli scavi delle gallerie prima di essere smistati in discarica. Una presenza a dir poco ingombrante che occuperà persino le aree inquinate di Trento Nord, ma su questo ritorneremo dopo.
Gli ettari previsti per i cantieri sono circa 50, che per dare un’idea sarebbero pari a 100 campi da calcio.
Questo ha un ovvio effetto sul numero di proprietari di case, edifici e terreni agricoli da espropriare o da occupare temporaneamente. Si tratta di 151 proprietà di cui alcune in comunione tra diversi proprietari, come nel caso dei condomini.
Si sa che gli edifici da abbattere a Trento Nord sono 11 di cui 3 abitativi. Tuttavia, il numero sembra destinato ad aumentare e abbiamo già notizia di un ulteriore edificio da abbattere non presente nella lista risultante dal progetto.
Inoltre, ci sono anche case che è molto probabile vengano temporaneamente sgomberate per verificarne la tenuta strutturale, dal momento che sono vicinissimi ai punti di attacco della galleria. Naturalmente non c’è nessuna garanzia, data la vicinanza con i lavori di scavo, che gli edifici rimangano integri e abitabili alla fine dei lavori.
Lo stesso problema si riflette anche ad Acquaviva di Mattarello dove non è previsto che le abitazioni presenti siano abbattute, ma dove il tessuto sociale e rurale di quella contrada rurale verrebbe disarticolato dall’imponente cantierizzazione prevista. Inoltre una parte dei terreni agricolo di pregio espropriati per i cantieri diventeranno proprietà stabile di RFI, altra parte verrà espropriata “temporaneamente” per i lunghi anni di cantiere e dovrebbe essere poi restituita ai proprietari, ci si può immaginare in che condizioni dopo il loro uso come aree di cantiere.
Il rendering progettuale dell’imbocco della galleria all’Acquaviva di Mattarello. Pensare che dove sorgevano i cantieri restino intatti i vitigni, come sembra suggerire l’immagine, è assurdo. Tuttavia è utile l’indicazione delle dimensioni dell’imbocco se comparate a quelle degli edifici vicini.
Inquinamento acustico e da polveri
I cantieri, e in particolar modo quello dello Scalo Filzi che è il più ampio e centrale, saranno piuttosto molesti per gli abitanti dei dintorni, in quanto operativi 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, come prevede il progetto.
Gli effetti acustici dei cantieri sono stati oggetto di studi, ma questi si riferiscono all’uso di una sola talpa meccanica e non di due contemporaneamente. In ogni caso come si può osservare dall’immagine accanto, le zone circostanti al cantiere subiranno comunque pesanti sforamenti dei limiti acustici e le mitigazioni previste lasceranno sostanzialmente invariata la situazione. Ciò è confermato dal fatto che nel progetto si afferma che è già prevista la richiesta di deroga al sindaco sui limiti acustici.
Per quanto riguarda poi il rumore durante l’esercizio della linea, bisogna considerare che sono previste a Trento Nord enormi barriere antirumore che correranno lungo la linea e costituiranno una pesante barriera, per gli animali e per il paesaggio, alta fino a 10 metri.
Nessuno studio è stato invece fatto per quanto riguarda gli effetti delle vibrazioni dovute sia agli scavi sotterranei che al successivo passaggio dei treni. Questa è una circostanza molto grave, perché il doppio tunnel dedicato a treni pesanti, lunghi e rumorosi, passerebbe sotto la zona di Trento Nord densamente abitativa di di via Malvasia, via Pietrastretta, via della Spalliera, via Luigi Campi, a pochi metri o a poche decine di metri al di sotto delle case. Le continue vibrazioni che ne deriverebbero sono non solo un impatto gravoso sulla salute e la qualità della vita degli abitanti, ma anche sulla stessa stabilità degli edifici.
C’è poi il problema delle grande quantità delle polveri da cantiere, dovuti sia agli scavi della roccia sia alla realizzazione delle enormi strutture in cemento (in particolare i conci per l’armamento delle gallerie). Qui non si prevede alcuna seria forma di mitigazione, se non il tragicomico riferimento alla “continua “bagnatura” delle aree di cantiere (innaffiare il tutto di tanto in tanto) come espediente per abbattere le polveri.
Polveri in un cantiere del Tav in Val Susa. Per questo problema l’ARPA piemontese ha censurato la società costruttrice: https://www.notav.info/post/polveri-del-cantiere-tav-arpa-bacchetta-telt/ù
Un dettaglio dello schema di impatto acustico nelle adiacenze del cantiere allo Scalo Filzi. I limiti di legge sono sistematicamente violati e anche le mitigazioni non sembrano avere molto effetto.
Disastro ambientale a Trento Nord
È questa probabilmente la più seria criticità di tutto il progetto.
Come si vede bene dal planoprofilo a pag. 6, la nuova linea passerebbe sotto terra nelle aree di Trento Nord inquinate dalle fabbriche ormai dismesse della SLOI e della Carbochimica.
Nel novembre del 2020 la PAT ha appaltato ad un consorzio di imprese il primo lotto di disinquinamento delle Rogge, una delle tre zone insieme alla SLOI e alla Carbochimica, che costituiscono il sito di interesse nazionale da bonificare di Trento Nord.
Dalla lettura del comunicato stampa, dai costi della bonifica e dalle modalità di lavoro prescritte per chi opererà sull’area (lavoro in igloo, tute protettive, depurazione dell’area sotto l’igloo, raccolta del materiale dentro camion a tenuta stagna e tracciatura del percorso dei camion che certifica il conferimento in discariche speciali -in questo caso in Germania-) si evince (lo sapevamo dal 1978, anno di chiusura della SLOI) che siamo di fronte ad un inquinamento di grande rilevanza.
Mappa della aree inquinate. In rosso rogge interessate dalla bonifica appaltata nel 2020 (ora sospesa)
Il sistema a Igloo impiegato per la bonifica delle rogge. Nel progetto della circonvallazione non c’è traccia né dei soldi né delle modalità con cui si intende trattare gli scavi nelle aree inquinate.
Fin dagli anni 90, nella parte sud dei 10,5 ettari delle zone inquinate, è stata posizionata una barriera idraulica, per impedire che l’inquinamento da piombo e da idrocarburi raggiungesse la falda.
I livelli di inquinamento registrati nelle rogge (Fossa degli Armanelli, Lavisotto, ecc.) parlano di inquinamento da piombo e da idrocarburi fino a 8 metri di profondità e raccontano di un inquinamento che attraverso il Lavisotto (che dal sottopasso ferroviario di Piazza Centa si inabissa sotto la città per sfociare nell’Adigetto a lato del fiume Adige nei pressi del ponte di San Lorenzo) attraversa la città.
Nella relazione Ambientale del progetto di circonvallazione si parla di asportazione di 48.000 metri cubi di terreno contaminato. Ma nessuno dei siti indicati nel PFTE come luoghi dove verrà conferito il materiale è una discarica di “rifiuti speciali” (come abbiamo visto il materiale inquinato asportato dalle Rogge è attualmente conferito, con il metodo di cui abbiamo detto, in Germania).
Dove finiranno invece i 48.000 metri cubi, stimati nel PFTE, non è dato sapere. Ed in talune parti della relazione sembrerebbe addirittura che sarà conferito come un qualunque materiale di scavo.
In ogni caso quell’ammontare di materiale di scavo inquinato è del tutto sottostimato in quanto non tiene conto dei due sotto-attraversamenti pedonali che il progetto prevede in quelle aree, né della realizzazione della variante ferrovia storica, né infine dello spostamento del canale Lavisotto che ancora il progetto prevede. In totale, una stima realistica dei materiali inquinati ammonterebbe a 60.000 metri cubi oltre i 9.300 sottratti dalle rogge.
Nulla si dice inoltre su come verrà trattata l’acqua che si produrrà appena sarà iniziato lo scasso per la realizzazione della trincea in cui scorreranno i binari. Fuoriuscendo dalle aree inquinate si tratterà senz’altro di acqua inquinata, che andrà trattata con grande attenzione, soprattutto nella fase dello smaltimento visto che non potrà essere reinserita nell’ ambiente. Ma di questo le relazioni contenute nel PFTE non parlano nemmeno!
Nel PFTE è previsto di utilizzare le aree inquinate di Trento Nord come “deposito temporaneo” il milione di metri cubi di materiale di risulta dello scavo dentro la Marzola.
Il pressapochismo progettuale a questo proposito raggiunge livelli notevoli e preoccupanti.
Per adagiare sui terreni inquinati il materiale, anche detto “smarino”, si intende operare attraverso la tecnica del “capping”, che è normalmente usata per mettere in sicurezza e bonificare le discariche, non aree inquinate come quelle di cui stiamo parlando. La tecnica proposta prevede di impermeabilizzare il terreno prima con uno strato di circa 30 centimetri di terreno “stabilizzato”, sabbia, tessuto non tessuto e due millimetri di HDPE. Usare il capping in posti dove si opera con grandi escavatori è una pura formalità, gettare fumo negli occhi degli interlocutori. Basta che un escavatore si impunti su di un sasso che una simile “protezione” è stracciata e resa inutilizzabile, mischiando così terreno di risulta con terreno contaminato.
La superficie delle aree inquinate che potrebbe essere usata per lo stoccaggio di materiali sarebbe di poco più di 9 ettari. Mettere lì un milione di metri cubi significherebbe rialzare tutta quell’ area di almeno 10 metri! E questo su di un sito che è nel compluvio della valle e che a sud vede posizionata una barriera idraulica per impedire che l’inquinamento entri in falda, in una zona dove basta fare un buco e questo si riempie d’acqua.
Il rischio di un “effetto spugna” e della creazione di gravissimi problemi anche di natura sanitaria è concretissimo e assai probabile, tenuto conto che il terreno di scavo pesa 17/20 quintali a metro cubo e quindi il peso del materiale che transiterà sul quell’ area è pari a 2 milioni di tonnellate!
Ma i progetti si spingono a fare affermazioni false o quantomeno inesatte su un tema che per la sua importanza richiederebbe ben altra precisione. Infatti viene sostenuto che le rogge saranno già bonificate quando dovranno eseguirsi i lavori della circonvallazione.
Questo è falso perché i lavori di bonifica non sono mai partiti sulla Fossa degli Armanelli dove la SLOI sversava i suoi veleni. È iniziata la sola bonifica del Lavisotto, la cui consegna era prevista per giugno 2022, ma che è in grande ritardo per la delicatezza della situazione ambientale rinvenuta e i cui lavori sono comunque stati sospesi.
L’interferenza con le bonifiche in corso e con quelle future è peraltro evidente con gli scavi della dimensione sopra accennata. Vengono quindi violate le norme del codice dell’ambiente che prevedono che le opere del PNRR possono essere realizzate, nei Siti Inquinati di interesse Nazionale come quello di Trento Nord, solo a patto che non venga pregiudicata l’esecuzione della bonifica e che in ogni caso non autorizza attività di scavo.
Preoccupa infine anche la sicurezza dei lavoratori e degli abitanti più prossimi a quei territori, dove oggi è interdetta ogni possibilità di accesso. Se confrontiamo le modalità di lavoro fra quelle previste per il disinquinamento delle rogge e quello che si intuisce leggendo il PFTE emerge una differenza abissale. Se il modo di operare non sarà sicuro, e quello previsto nel PFTE non lo è per nulla, a subirne le conseguenze saranno i lavoratori che in quelle aree opereranno e gli abitanti vicini, ed il rischio per la salute è molto alto. I morti della SLOI sono una pagina nera di questa città e le conseguenze del saturnismo sono pesantissime, così come pesantissimi sono i rischi per i lavoratori che operano dove ad inquinare sono gli idrocarburi e le sostanze ad esse connesse.
Rischi geologici e perdite d’acqua
Sin dalle prime presentazioni progettuali, da parte dei promotori dell’opera il tema dei rischi per le centinaia di risorse idriche della Marzola non né mai stato posto seriamente e con precisione. Ci si limitava solo a dare il numero di 222 fonti interessate lungo il tracciato, affermando che per la maggior parte non si trattasse di rischi alti.
Questa vaghezza è contenuta anche nel progetto di fattibilità che parla di sette sorgenti con rischio medio, senza peraltro indicare quali siano.
Tuttavia, è evidente che la questione della perdita di risorse idriche è fondamentale se si considera la stessa dimensione dello scavo previsto: due canne da 10 metri di diametro ciascuna, poste a 40 metri l’una dall’altra, collegate ogni 400 metri da una galleria trasversale del diametro di 6 metri.
Si tratta quindi di una ferita piuttosto ampia nel ventre della Marzola e poco conforta sapere che, come affermano i progettisti, la copertura media della galleria (lo strato di terreno posto sopra di essa) è pari a 120 metri. La media è spesso ingannatrice come ci ricordava Trilussa. Infatti tale copertura diventa solo di 45 metri all’altezza del Fersina, che costituisce la principale sorgente che alimenta l’acquedotto cittadino.
Ma un rischio molto forte per l’acqua lo si registra anche a Mattarello dove il tema interessa anche i molti contadini della zona e dell’altopiano della Vigolana. A dimostrazione che è molto difficile preventivare le perdite idriche per progetti di questa dimensione, ricordiamo che la grande portata della sorgente Acquaviva, che dà il nome alla località in cui si installerebbero i cantieri, aveva già interrotto la realizzazione del nuovo depuratore cittadino, inizialmente previsto incassato dentro la Vigolana.
L’altro aspetto che preoccupa è quello della tenuta geologica della monte Marzola. Come gli abitanti di Trento sanno bene, la Marzola è così chiamata per la sua fragilità dovuta a una paleo-frana che produce ancora i suoi effetti. A Villazzano in zona Via dei Molini è possibile verificare come la montagna sia in “movimento” e come questo possa diventare un pericolo per le costruzioni che vi si installano. Non a caso buona parte della Collina Est è caratterizzato urbanisticamente come “zona rossa” in cui è fatto divieto di edificare. È difficile capire come si possa pensare di scavare una tale formazione senza porsi seriamente il problema.
Eppure gli studi dei progettisti in materia sono stati quasi nulli. I sondaggi geognostici realizzati si sono limitati a quelli di Mattarello (Novaline e Casteller) e a quelli di Povo del gennaio 2021, mentre i sondaggi del novembre 2021 sono localizzati allo Scalo Filzi e non riguardano dunque la questione che stiamo qui trattando.
A fronte quindi di una limitata indagine della reale situazione idrogeologica della montagna, risulta incredibile che si procederebbe agli scavi dei due tunnel senza prima realizzare un cunicolo esplorativo. Per ovviare a queste cautele che si risolverebbero in “perdite di tempo” i progettisti pensano a soluzioni tecnologiche che non hanno molti precedenti.
Così le costose talpe meccaniche che verranno impiegate per gli scavi sono TMB Dual Mode, le quali oltre a procedere allo scavo e armare la galleria, dovrebbero essere in grado anche di fare esplorazioni “in avanzamento”. Le lezioni dettate da esperienze simili in lavori pubblici, anche vicine nel tempo e nello spazio, non hanno evidentemente insegnato una maggiore umiltà ai progettisti del TAV. Non è bastata la desertificazione del Mugello né lo stop forzato dei lavori al Tunnel del Brennero dovuto al rinvenimento inaspettato di un enorme abisso nella profondità della montagna, denominato IRIS.
L’illusione è quella che un nuovo gingillo iper-tecnologico possa valere l’azzardo di mettere i nostri territori davanti a un pericolo che, in questi termini, non ha precedenti.
La carta dei rischi dei punti d’acqua segnala le fonti minacciate dalla circonvallazione con punti colorati.
Il torrente Carza nel Mugello è uno dei tanti corsi d’acqua della zona a essere stato prosciugato dal TAV
Impatti sulla viabilità
In merito alla cantierizzazione la Relazione del Responsabile del Procedimento quantifica in “215 viaggi in uscita ed in 83 viaggi in entrata” quotidiani i TIR previsti nel cantiere a Nord (scalo Filzi) ed in “200 viaggi in uscita e 75 viaggi in entrata” giornalieri i TIR previsti per il cantiere di Mattarello. Si tratta in sostanza di circa 600 viaggi di andata e ritorno che andranno ad appesantire una situazione viabilistica già sotto stress.
Infatti, non deve dimenticarsi che all’imbocco Nord della Galleria, presso lo Scalo Filzi, il tracciato passa esattamente sotto via Brennero e lì è previsto un camerone in cemento armato dove partirebbero gli scavi delle due frese.
Non è necessario spiegare a chi è di Trento quanto sia fondamentale per la viabilità cittadina l’asse di Via Brennero che collega la città alla sua parte settentrionale. L’inizio dei lavori di scavo bloccherà almeno per qualche mese tale importante arteria. Questo, sommato al congestionamento dovuto ai viaggi dei TIR di cantiere, comporterà paralisi e rallentamenti importanti del traffico. A Mattarello analoghi effetti ci si deve aspettare lungo la statale che corre in Sinistra Adige.
Di conseguenza. il traffico sarà costretto a riversarsi su una viabilità alternativa, andando a gravare su una tangenziale già sovraccarica, sulle strade minori della collina Est e, a Sud, sulle strade di Destra Adige.
Infine, fin dall’avvio delle opere previste la Trento-Malè sarà fermata a Gardolo. La linea attuale infatti interferisce con la realizzazione delle opere previste presso lo Scalo Filzi e fa parte del progetto la realizzazione di una nuova stazione della Trento-Malè nell’area Magnete, dentro ed ai bordi del SIN di SLOI e Carbochimica.
Nei programmi di sviluppo della Trento-Malè è presente il trasferimento in località Spini di Gardolo della sua officina, necessaria alla manutenzione del suo parco viaggiante. Allo stato però l’opera è in forte ritardo e necessiterà di alcuni anni per la sua realizzazione. L’attuale officina di Trento-Malè è invece situata a valle dell’ex scalo Filzi e diventerà quindi non più raggiungibile dai convogli dopo l’inizio dei lavori della circonvallazione che prevedono la demolizione proprio del tratto dalla che va dal Magnete fino allo scalo Filzi.
La Trento-Malè quindi potrà continuare a funzionare solo finché ai suoi treni non verrà sospesa qualsiasi manutenzione e se non succedono guasti o rotture al parco circolante, in quel caso diventa impossibile portare i mezzi in officina e prima o poi l’intero meccanismo si inceppa ed alla fine si blocca.
Opporsi a un disastro annunciato
Questa lettura sintetica del progetto non vuole assolutamente porsi come una profezia compiaciuta di quello che ci toccherebbe vivere nei prossimi anni a Trento. Al contrario, in risposta alla deliberata omissione di ogni seria informazione da parte dei promotori del progetto della circonvallazione, abbiamo cercato di fornire uno strumento di approfondimento di quali sarebbero le conseguenze qualora lo stesso non venisse fermato.
Troppo grandi e carichi di rischi sarebbero gli effetti di un’opera di questo genere, per la città di Trento, per tutto il Trentino e persino per il pianeta, a causa del suo impatto in termini energetici e di emissioni di CO2. Non possiamo permettere un tale sfregio al nostro territorio, a maggior ragione in un periodo storico di crisi climatica globale.
Il quadro politico in cui il progetto si inserisce non è tuttavia rassicurante. Tutte le forze politiche in carica in Comune e in Provincia (un solo consigliere provinciale ha messo in discussione i presupposti dell’opera) sono allineate secondo il diktat del Partito Unico del Tav e della smania di accaparrarsi l’ingente finanziamento.
Sappiamo che altre sarebbero le priorità per i luoghi in cui viviamo e da più parti viene infatti la richiesta di spendere quei denari per il risanamento delle aree inquinate di Trento Nord. C’è un punto però che qualsivoglia ipotesi alternativa, fosse anche quella a noi distante di una rivalutazione del tracciato in Destra Adige, non può ignorare a pena di perdere credibilità: l’iter progettuale e realizzativo di questa opera inutile, distruttiva e costosissima deve essere fermato il prima possibile!
Un obiettivo di tale ambizione richiede certamente coraggio, intelligenza creativa, capacità di muoversi insieme a soggetti diversi accomunati da uno scopo comune.
Come ci insegna la Val di Susa c’è spazio per tutti per una lotta di tale portata. È fondamentale che si attivi presto una mobilitazione popolare che non sia relegata all’attivismo di questo o quel comitato, ma che trovi la sua forza nella diversità delle modalità di azione, nella pluralità e trasversalità dei soggetti in gioco e nell’unitarietà degli obiettivi di fondo.
Da parte nostra contribuiremo come abbiamo sempre fatto: informando e sensibilizzando la popolazione (anche attraverso la neonata sede del comitato, La Talpa, in via San Martino 43), cercando di intralciare e rallentare l’iter del progetto con le carte e con i corpi, promuovendo manifestazioni in cui quella parte di città contraria a questo scempio possa esprimersi liberamente.
Siamo Davide contro Golia.
Ma Davide quella volta vinse.
La nostra sede è attualmente in via San Martino 43. Passate a trovarci!
Potete trovare gli orari di apertura sulla pagina facebook del comitato o scrivendo a:
comitatonotavtrento@gmail.com
[1] Se si vuole approfondire il tema rinviamo a questo webinar con Claudio Campedelli: https://www.youtube.com/watch?v=G5Q92xrtSGU&t=903s.
[2] Qui un intervento mette a critica il “sogno” di Ianeselli alla luce di una visione politico-urbanistica che metta al centro le politiche sociali e non la rendita immobiliare: https://antonellavaler.wordpress.com/2021/11/25/circonvallazione-ferroviaria-sogno-o-incubo-per-la-citta/